Ricordo ancora la sensazione di inadeguatezza che mi aveva pervaso al nostro primo incontro. Eravamo nel cortile del carcere femminile di San Vittore e io, al mio primo intervento sul giornale che sta pubblicando anche questo articolo, ero visibilmente emozionato. Avevo scritto del “desiderio degli altri” e della “menzogna del farsi da sé” con rimandi forbiti a Lacan e a Recalcati, ma non ero stato in grado di scrivere una sola parola che parlasse di me e delle mie emozioni.
Quando ho ascoltato le ragazze di San Vittore leggere i loro interventi sul giornale, ho avuto un soprassalto. Non avevo mai ascoltato niente di così autentico; racconti “nudi e crudi” di se stessi e della propria anima che andavano dritti al “cuore” del lettore, senza passare per le sua “testa”. E così, mi sono sentito profondamente inadeguato, col mio pezzo pieno di corazze mascheranti.
D’improvviso ho capito: le parole fredde, quasi di ghiaccio, del mio primo scritto non erano altro che il nascondiglio della mia parte più vera, del mio spirito.
Memore della lezione ricevuta dalle ragazze di San Vittore, alla seconda occasione non ho cercato più nascondigli: il pezzo parlava di me e di mia madre, della sua scomparsa prematura e del mio rammarico per non averle dato l’ultimo e forse più importante abbraccio. La seconda volta, alla presentazione del giornale nello stesso cortile, ero completamente a mio agio: avevo imparato dalle ragazze di San Vittore a vedere e far vedere me stesso.
Un sincero grazie, alle ragazze di San Vittore.