Il contratto è il primo istituto civilistico a essere interessato dall’innesto, nel nostro ordinamento giuridico, del dovere di istituire adeguati assetti dell’impresa (anche) in capo all’imprenditore.
Con l’aggiunta del secondo comma dell’art. 2086 c.c., può prospettarsi l’avvenuto innesto nel nostro ordinamento giuridico di uno specifico dovere di “protezione” in capo all’imprenditore, che è anche un dovere di professionalità, costituito espressamente dall’istituzione di “un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale…”. Dovere che si aggiunge allo stesso dovere che gravava già sugli organi sociali e che diventa obbligo dello stesso imprenditore, con una serie di indagabili effetti, nei rapporti contrattuali in cui quest’ultimo è coinvolto.
L’obbligazione come struttura complessa
È da premettere che da tempo la scienza giuridica riconosce la specialità dei contratti conclusi dall’imprenditore (i c.d. contratti di impresa), studiati come categoria unitaria [1] e ciò alla luce della possibilità, offerta da alcuni indici normativi, di isolare dal sistema tratti peculiari e di considerarli comuni alla contrattazione di impresa.
Questi indici normativi sono ricavabili dal Codice civile [2], dalla legislazione speciale e dalla prassi scaturente dall’autonomia di impresa e possono consentire una deviazione di disciplina rispetto al diritto comune. Soprattutto gli indici desumibili dalla legislazione speciale sono accomunati dall’imposizione in capo all’imprenditore di doveri di professionalità, includenti, tra l’altro, obblighi di informazione e di trasparenza nei confronti della controparte contrattuale (si pensi alle figure negoziali come il franchising e il leasing, alla normativa in tema di subfornitura o di ritardo nei pagamenti, alle indicazioni provenienti dal Testo Unico Bancario in materia di intermediazione finanziaria e dal Codice del consumo).
Si deve pure premettere, utilizzando, per sintesi ed efficacia, le parole scritte da una delle più autorevoli dottrine civilistiche del secolo scorso, che è oramai superata “la concezione dell’obbligazione come rapporto elementare, limitato alla prestazione dovuta dal debitore e alla quale il creditore ha diritto(:) l’obbligazione è (oggi) ricostruita come una struttura complessa, nella quale il nucleo primario costituito dall’obbligo di prestazione è integrato da una serie di obblighi accessori coordinati in un nesso funzionale unitario ” (così, testualmente, L. Mengoni, “La parte generale dell’obbligazione”, recentemente ripubblicato in “Obbligazioni e negozio”, a cura di C. Castronovo, A. Albanese, A. Nicolussi, pagg. 284-285).
Questa evoluzione della categoria giuridica dell’“obbligazione” che, come si dirà di seguito, impone – al di là delle prestazioni principali dovute – il reciproco rispetto delle sfere giuridiche delle parti coinvolte nel rapporto contrattuale e, talora, anche di quelle di terzi rispetto al contratto, costituisce il punto di emersione di una mutata consapevolezza (anche da parte dei professionisti del diritto) circa la complessità della relazione che si instaura, in particolar modo con il contratto, tra i soggetti dell’ordinamento. Consapevolezza che matura sempre di più, man mano che l’essere umano abbandona il proprio, millenario, modo di pensarsi come scisso e separato, dagli altri e dal mondo (gli studi antropologici parlano già da tempo di “emersione del nuovo io relazionale”, che man mano “abbandona l’illusione egoica di essere un nucleo ben definito nei propri confini”; le parole tra virgolette sono prese da M. Guzzi , “Dalla fine all’inizio. Saggi apocalittici”, Edizioni Paoline, Milano, 2011).
Questa stessa consapevolezza, nel contesto dell’attività di impresa, ha condotto di recente alla teorizzazione dei “contratti relazionali”, postulando che la relazione contrattuale meriti oggigiorno una tutela maggiore di quella che fino ad ora le è stata riconosciuta e persino, in taluni casi, al di là della volontà dei contraenti (A. F. Fondrieschi , “Contratti relazionali e tutela del rapporto contrattuale”, Giuffrè Editore, Milano, 2017), nonché a predicare la realizzazione del passaggio dall’“obbligazione” alle “obbligazioni”, proprio per riconoscere la singolarità dello statuto normativo dell’obbligazione che vede coinvolto l’imprenditore (T. Sica , “Il debitore “eterodiretto”. Contributo alla teoria del rapporto obbligatorio”, Pacini Editore, Pisa, 2022, pag. 183 e ss., ove si rinvengono numerosi riferimenti in chiave di teoria generale dell’obbligazione).
La teoria degli obblighi di protezione
Ora, con riferimento alla ricordata evoluzione della concezione della “categoria generale” dell’obbligazione, Luigi Mengoni ci aveva messi sull’avviso, anzitutto, che l’aspetto più interessante di questa evoluzione della concezione della “categoria generale” dell’obbligazione sarebbe stata la teoria degli “obblighi di protezione”; teoria che – tornando a usare le sue parole – “ha esteso la tutela del rapporto obbligatorio, e quindi il regime della responsabilità contrattuale, all’interesse di entrambe le parti a preservare la propria persona e i propri beni dal rischio specifico di danno creato dalla particolare relazione che si è instaurata tra i due soggetti”. Si pensi, ad esempio, al caso – tratto da Cass., 29 maggio 2006, n. 12801 – di un rapporto di sponsorizzazione futuro ma pubblicizzato anzitempo dal contraente sponsorizzato, in pregiudizio di un diverso contratto concluso con altro sponsor e ancora in corso: la Corte Suprema non ha avuto remore a ritenere facenti parte dell’oggetto della obbligazione, rilevanti anche ai fini risolutori, gli “obblighi ulteriori o integrativi … diretti a non frustrare l’operazione negoziale (in corso) di sponsorizzazione, compromettendo l’utilità che lo sponsor si ripromette” e, così, a censurare la condotta di anticipata divulgazione del futuro rapporto di sponsorizzazione.
Lo stesso ora menzionato Autore ha pure acutamente osservato che a fondamento di questa teoria, nel nostro ordinamento, vi è anzitutto l’art. 1175 c.c., che sancendo che “(i)l debitore e il creditore devono comportarsi secondo le regole della correttezza”, da un lato, ha trasceso l’ambito del rapporto contrattuale e, dall’altro, si è posto come fonte di integrazione del programma contrattuale, “per la salvaguardia dell’interesse di protezione di ciascuna parte, e anche di terzi legati a una di esse da particolari rapporti che li associano al medesimo rischio specifico” (sono sempre parole di Mengoni). Per quanto riguarda la protezione dei terzi, si pensi al caso, frequentemente affrontato dalla giurisprudenza, del nascituro, quando l’obbligazione della struttura sanitaria e/o del medico sia contratta per la procreazione: si veda, ad esempio, Cass., 8 luglio 2020, n. 14165.
Un’altra autorevole dottrina ha poi spiegato bene che, ferma restando la identificazione nella prescrizione di cui all’art. 1175 c.c. della norma generale a fondamento dell’esistenza nel nostro sistema dei doveri di protezione, vi sono nel nostro ordinamento giuridico, qua e là, punti di emersione di casi di obblighi di protezione che sono stati tipizzati, nella disciplina configurata per i contratti nominati, sui quali si tornerà nel prosieguo (C. Castronovo , “Obblighi di protezione”, in Enciclopedia giuridica Treccani, XXI, 1991, pag. 6 e ss.).
Vi è che oramai, a prescindere dal percorso giuridico seguito, si riconosce unanimemente che il rapporto obbligatorio viene modellato, al di là della volontà dei contraenti, dall’innesto nel sistema degli inderogabili doveri di solidarietà che si ricavano dall’art. 1175 c.c. e dalle altre disposizioni normative che hanno tipizzato gli obblighi di protezione; disposizioni lette, tutte, alla luce del principio di solidarietà sancito dall’art. 2 della Costituzione e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.
L’estensione della responsabilità contrattuale
Il primo portato pratico della descritta evoluzione del sistema è stato – come è noto agli operatori del diritto – l’acquisizione all’area della responsabilità contrattuale della lesione di questi doveri di protezione; lesione che altrimenti avrebbe potuto concretizzare, tutt’al più, solo una violazione dell’alterum non laedere e, quindi, un illecito civile ex art. 2043 c.c.. Con la duplice conseguenza che è risultato, poi, abbastanza agevole: a) predicare l’azionabilità autonoma degli obblighi di protezione – e, in particolare, l’invocabilità dei rimedi sinallagmatici, quali, ad esempio, la risoluzione e l’eccezione di inadempimento – di fronte alla violazione degli obblighi di protezione (è “bastato” far coincidere il sinallagma non “con il vincolo che lega le sole prestazioni”, ma con “il legame formale attraverso il quale si esprime l’equivalenza dei costi cui ciascuna delle parti è tenuta per l’esecuzione del contratto”; si veda C. Castronovo , “Obblighi di protezione” cit., pag. 6, le cui parole sono state riportate testualmente tra virgolette [3]); b) applicare (almeno analogicamente) la regola probatoria dell’obbligo di prestazione ex art. 1218 c.c. e ciò con il risultato concreto di poter ritenere che l’onere della prova dell’adempimento o della esimente da responsabilità (esimente costituita dalla non imputabilità del fatto che ha determinato l’inadempimento), spetti alla parte che è tenuta all’obbligo di protezione.
Pure la giurisprudenza, sulla scorta di queste riflessioni dottrinarie, ha ritenuto autonomamente azionabili gli obblighi di protezione, con il ricorso ai rimedi sinallagmatici di cui agli artt. 1453 e 1460 c.c.. Esemplificativamente si vedano: quanto all’applicazione dell’art. 1453 c.c. agli obblighi di protezione, Cass. 12801/2006 cit.; quanto all’art. 1460 c.c., Cass., 16 gennaio 1997, n. 387 e Cass., 16 novembre 2000, n. 14685; in punto di rilevanza della violazione degli stessi obblighi ai fini risarcitori e da ultimo, Cass. 3 novembre 2023, n. 30588.
La stessa giurisprudenza ha ritenuto, poi, configurabile il contratto con effetti protettivi del terzo, con riferimento alla posizione di più di un soggetto coinvolto in varia misura nella relazione tra i contraenti. Sono stati annoverati tra i terzi in questione, ad esempio: come abbiamo già detto e secondo Cass. n. 14615/2020 cit., il nascituro (e il padre) nell’ambito del contratto stipulato tra la gestante e la struttura ospedaliera per l’erogazione di prestazioni sanitarie afferenti alla procreazione; secondo Cass., 11 febbraio 2021, n. 3562, tutti i soggetti interessati al buon fine dell’operazione sottostante all’incasso di un assegno nell’ambito dei contratti bancari che prevedono la negoziazione di mezzi di pagamento; secondo Cass., 9 maggio 2016, n. 9320, la banca mutuante nell’ambito del contratto stipulato tra mutuatario e notaio con cui il primo conferisce al secondo l’incarico di redigere una relazione preliminare avente a oggetto la situazione dei beni da concedere in ipoteca a garanzia del mutuo.
Gli adeguati assetti come “tipizzazione” degli obblighi di protezione
A questo punto, si deve tornare a quanto già anticipato e cioè alla considerazione che vi è più di un indice normativo nel nostro ordinamento giuridico che depone nel senso dell’avvenuta configurazione, direttamente da parte del Legislatore (del Codice civile) del 1942, di obblighi di protezione tipizzati in particolari fattispecie contrattuali. Si riportano in nota i casi più eclatanti, limitandosi al solo Codice civile [4].
Ora, alla luce delle sopra sintetizzate acquisizioni della dottrina, prima, e della giurisprudenza, poi, non è peregrino predicare, a parere di chi scrive, l’avvenuto innesto nel nostro ordinamento giuridico, proprio con il secondo comma dell’art. 2086 c.c., e in capo all’imprenditore, di uno specifico “dovere di protezione” nei confronti dei terzi (estranei all’impresa). Dovere che diventa obbligo per lo stesso imprenditore, in forza della relazione che instaura di volta in volta concludendo contratti nell’esercizio dell’attività di impresa e generando, così, la determinatezza delle parti che trasforma il dovere in obbligo; obbligo che, a sua volta, si concretizza in tutti quei comportamenti, consistenti in una serie di prestazioni preliminari, strumentali e, in senso lato, “organizzative”, che l’imprenditore deve tenere per l’istituzione di adeguati assetti.
Come anticipato nell’epigrafe, il dovere per l’imprenditore di istituire adeguati assetti si può definire, senza farne una questione nominalistica, “ dovere di protezione ” in ragione degli interessi che coinvolge: gli adeguati assetti sono lo strumento introdotto dal Legislatore per la mitigazione e la gestione preventiva del rischio di impresa. Rischio che, oggigiorno, non è più (o meglio, non solo) il rischio che l’imprenditore non abbia successo nella sua attività, ma è anche (soprattutto, a ben vedere) il rischio che l’impresa generi esternalità negative che non assorbe e scarica sui terzi e, più in generale, sulla collettività (mi sia consentito il rinvio a L’imprenditore e l’art. 2086, secondo comma, c.c.: un nuovo dovere che chiede pieno riconoscimento, nonché a Gli “adeguati assetti”, il rischio d’impresa e l’articolo 41 della Costituzione).
Questo dovere, che si può pertanto definire di protezione (di interessi alieni rispetto all’impresa) e che indubbiamente ha i caratteri dei doveri di professionalità (di cui si diceva nel capoverso iniziale del primo paragrafo), si concretizza in maniera diversa, a seconda del rischio specifico collegato alla determinata attività svolta dall’imprenditore che viene in considerazione; e, nella singola relazione contrattuale – oltre a diventare un obbligo, come già detto –, assume connotati, del tutto peculiari e immediatamente percepibili, che si devono ricavare dall’esame della singola fattispecie, ricostruendo l’interesse concretamente da perseguire. In generale, si può dire che la controparte contrattuale dell’imprenditore ha il preciso (ora, tutelato) interesse che siano adeguatamente istituiti e funzionanti durante tutto il rapporto contrattuale, gli assetti volti a garantirgli la corretta esecuzione della prestazione cui lo stesso imprenditore è tenuto.
Se si considera, poi: a) che il primo aspetto funzionale degli adeguati assetti è espressamente menzionato dal secondo comma dell’art. 2086 c.c. ed è quello della “rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale …”; b) che l’attuale contesto normativo configurato dal Codice della crisi chiama i creditori a cooperare con il debitore-imprenditore nel tentativo di superare la crisi dell’impresa di quest’ultimo e a sacrificarsi, fino a doversi accontentare di una “qualche utilità” (in questo senso vengono interpretati i nuovi oneri, doveri e obblighi che la riforma, con il “principio” di cui all’art. 4 del Codice della crisi, ascrive in capo ai creditori dell’impresa in crisi); allora, si può ulteriormente specificare che la controparte contrattuale dell’imprenditore ha un preciso e tutelato interesse: a che gli assetti istituiti dallo stesso imprenditore con cui è entrato in relazione, siano idonei a gestire preventivamente sia il rischio della crisi e della perdita della continuità aziendale, sia gli altri rischi di impresa che possono mettere a rischio il ricevimento della esatta prestazione dovuta dal medesimo imprenditore.
A chi scrive risulta che, per ora, si è espresso in termini sostanzialmente analoghi D. Galletti , “L’organizzazione dell’impresa e il quomodo della produzione. L’impresa non è più black box?”, in Rivista di Diritto dell’Impresa, 2023, pag. 126 e ss., anche se l’Autore preferisce affrancarsi dalla teoria degli obblighi di protezione e scrivere di un innominato obbligo dell’imprenditore di “adozione di un’organizzazione “idonea” e già entrata nel fuoco della prestazione contrattuale … programmata” (lo stesso Autore fa l’esempio dell’impegno negoziale della struttura sanitaria che implica di per sé, e al di là della prestazione del singolo sanitario chiamato di volta in volta a intervenire, l’adempimento di una serie di prestazioni organizzative “atte a salvaguardare l’interesse del paziente, così come gli interessi di sfere giuridiche non coincidenti con quelle delle parti del rapporto e, tra queste, del nascituro”).
Non ha molta importanza, a parere di chi scrive, la definizione nominalistica dell’obbligo in questione, a patto che lo si faccia rientrare nell’obbligazione contrattuale dell’imprenditore secondo le categorie della scienza giuridica (nel nostro sistema, contrariamente a quanto accade nei sistemi di common law, non si può prospettare l’esperibilità dei rimedi contro una violazione contrattuale, se non si configura un previo inadempimento dell’obbligazione). Con la conseguenza che, così facendo, l’oggetto del rapporto obbligatorio di cui sia parte l’imprenditore potrà considerarsi, con l’interpolazione del secondo comma dell’art. 2086 c.c., arricchito da quei comportamenti (lo si ribadisce: preliminari, strumentali e, in senso lato, “organizzativi”) cui ciascun imprenditore deve avere ottemperato prima di mettersi sul mercato per istituire gli adeguati assetti; comportamenti che indubbiamente saranno dovuti dallo stesso imprenditore nel corso di tutto il rapporto, a protezione della controparte contrattuale.
È stato efficacemente puntualizzato che lo stesso precetto del secondo comma dell’art. 2086 c.c. ha specificato il contenuto dell’organizzazione, come peraltro si è già sottolineato, “nell’interesse non solo dell’imprenditore, e dell’efficienza del suo processo produttivo, bensì anche (e soprattutto) dei terzi, il cui interesse sia variamente collegato alla prospettiva alternativa del successo/insuccesso dell’impresa” (così ancora D. Galletti , “L’organizzazione dell’impresa” cit., pag. 127). Ebbene, il primo soggetto “terzo” (rispetto all’impresa) il cui interesse deve considerarsi in questo senso tutelato, è indiscutibilmente, vista la frequenza delle occasioni di relazione, la controparte contrattuale dello stesso imprenditore.
*A cura di Alessandro Palma, Founder di Studio Legale Palma
NOTE
[1] E ciò sulla scorta dell’autorevole insegnamento di A. Dalmartello , voce “Contratti d’impresa”, in Enciclopedia Giuridica Treccani, IX, Roma, 1988, secondo il quale “può meritare una considerazione d’insieme, volta a porre in luce aspetti comuni ed esigenze di coerenza normativa, il raggruppamento dei contratti d’impresa, senza che in questa considerazione d’insieme possa ravvisarsi una presa di posizione in contrasto con il principio della uniformità normativa di base della materia dei contratti …”. Nello stesso senso si vedano, tra gli altri, F. Di Marzio, voce “Contratti d’impresa”, in Dig. disc. priv. – sez. civ., Agg., III, I, Torino, 2007; G. Capo, voce “Contratti d’impresa (evoluzione recente)”, in Enciclopedia Giuridica Treccani, IX, Roma, 2008; G. De Nova , voce “Contratti di impresa”, in Enc. dir., Annali, IV, Milano, 2011; L. Balestra , “Introduzione al diritto dei contratti”, Bologna, 2015; A. Zoppini, “Premesse sistematiche all’analisi del recesso nel contratto tra imprese”, in G. Gitti – G. Villa (a cura di), “Il terzo contratto. L’abuso di potere contrattuale nei rapporti tra imprese”, Bologna, 2008.
[2] Si fa riferimento agli artt. 1330 c.c. (“Morte o incapacità dell’imprenditore”), 2558 c.c. (“Successione nei contratti”), 1722, n. 4, c.c. (“Cause di estinzione”), 1674 c.c. (“Morte dell’appaltatore”), 1368, secondo comma, c.c. (“Pratiche generali interpretative”), 1341 c.c. (“Condizioni generali di contratto”), 1342 c.c. (“Contratto concluso mediante moduli o formulari”), 2112 c.c. (“Mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento d’azienda”), 1510, primo comma, c.c. (“Luogo della consegna”), 1824, secondo comma, c.c. (“Crediti esclusi dal conto corrente”), 2099, primo comma, c.c. (“Retribuzione”), 2238 c.c. (“Rinvio”) e 2610 c.c. (“Trasferimento dell’azienda”).
[3 L’Autore puntualizza, pure, che “(i)n questi termini anche l’osservanza degli obblighi di protezione è un comportamento la cui mancata attuazione squilibra la relazione contrattuale sicché ad essa si deve conformemente poter reagire con i rimedi sinallagmatici”. Nello stesso senso, tra gli altri, si veda pure F. Benatti , “Doveri di protezione”, Digesto civ., 1991, VIII, secondo il quale, in forza dell’art. 1453 c.c., “la risoluzione può essere esercitata non già quando uno dei contraenti non esegue l’obbligazione principale, bensì quando “non adempie le sue obbligazioni”, cioè non rispetta tutti gli obblighi che fanno capo a lui in virtù del regolamento negoziale nei contratti a prestazioni corrispettive, con ciò gravemente pregiudicando l’interesse dell’altra parte ad un’esatta esecuzione del rapporto contrattuale”.
[4] “Esiste anzitutto una serie di obblighi di comunicazione, di cui ci limitiamo a segnalare qualcuno, che chiaramente trascendono l’obbligo di prestazione seppure vi sono, per definizione, connessi. L’art. 1586 c.c., che prevede un obbligo di avviso a carico del conduttore qualora dei terzi pretendano diritti sulla cosa locata … Analogamente si deve dire per l’art. 1686 c.c. (e per l’art. 1690 c.c. che lo richiama) in tema di trasporto di cose; il primo comma prevede un obbligo di comunicazione la cui autonomia e diversità rispetto all’obbligo di prestazione emerge dal fatto che l’eventuale responsabilità del vettore si innesta sul presupposto di non responsabilità per l’inadempimento della prestazione, essendo quest’ultima derivante da causa non imputabile al vettore. Nella disciplina del trasporto di persone l’art. 1681 c.c. è altrettanto esplicito nel distinguere gli obblighi di protezione dall’obbligo di prestazione. Il primo comma testualmente separa “la responsabilità per il ritardo e per l’inadempimento nell’esecuzione del trasporto” da quella dei “sinistri che colpiscono la persona del viaggiatore” o le cose che il viaggiatore porta con sé; e il secondo comma prevede la nullità delle clausole di limitazione della responsabilità soltanto con riguardo ai “sinistri che colpiscono il viaggiatore”, con ciò confermando l’autonomia di essi rispetto all’inadempimento della “prestazione” … Non si può non ricordare infine l’art. 2087 c.c. che disciplina un obbligo di protezione a carico del datore di lavoro-creditore della prestazione e a favore del prestatore di lavoro-debitore della medesima, nonché l’art. 2105 c.c. che impone al lavoratore il c.d. obbligo di fedeltà… Di altre due norme è stata di recente rinvenuta nella categoria degli obblighi di protezione la chiave di lettura. La prima è l’art. 1228 c.c., riguardante la responsabilità contrattuale per fatto degli ausiliari… la responsabilità che tale norma fa gravare sul debitore non attiene all’inadempimento bensì alla violazione di obblighi di protezione e cioè ad una lesione della sfera giuridica del creditore, che, laddove mancasse l’art. 1228 c.c., darebbe adito a responsabilità aquiliana. La seconda norma è l’art. 1494, 2° co., c.c. che assoggetta il venditore al risarcimento dei danni derivati dai vizi della cosa…” (C. Castronovo , “Obblighi di protezione” cit., pagg. 6 e 7).