Gli “adeguati assetti” e l’inadempimento delle obbligazioni.

Come osservato dalla recente Relazione (n. 87 del 15 settembre 2022) dell’Ufficio del Massimario e del Ruolo della Corte Suprema di Cassazione, “l’obbligo per l’impresa di dotarsi di “adeguati assetti” rappresenta un perno centrale del sistema di early warnings, destinato a favorire l’emersione tempestiva della crisi di impresa, sul presupposto che affrontare tardivamente tale situazione, quando ormai si è verificata la perdita della continuità aziendale, rappresenta un danno per l’intero sistema economico e per gli stessi creditori…”.

Ora, è noto che gli “adeguati assetti” non sono una novità del Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza (in seguito, il “CCII”). Da tempo la legislazione speciale prevede la relativa istituzione per gli istituti bancari e assicurativi; con la Riforma delle società di capitali, poi, l’istituzione degli “adeguati assetti” è stata introdotta nel Codice civile – con il combinato disposto degli artt. 2381 e 2403 c.c., in materia di società per azioni – come primo principio di corretta amministrazione cui gli organi sociali devono attenersi nella gestione dell’impresa; da ultimo, il CCII ha “scolpito nella pietra”, intervenendo su una delle primissime norme dedicate all’“impresa in generale” (vale a dire l’art. 2086 c.c.), il dovere dell’imprenditore “che operi in forma societaria o collettiva, (di) istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e (del) recupero della continuità aziendale” (dal 15 luglio 2022, in forza del nuovo art. 3 CCII, anche l’imprenditore individuale è tenuto ad “adottare misure idonee a rilevare tempestivamente lo stato di crisi e assumere senza indugio le iniziative necessarie a farvi fronte”).

A una prima lettura, quindi, la novità del CCII con riferimento agli “adeguati assetti” parrebbe essere quella di aver funzionalizzato il dovere di istituzione degli stessi “adeguati assetti” (anche) alla rilevazione tempestiva della crisi. Con l’occasione, il legislatore della crisi – con la norma di cui all’art. 377 CCII, anch’essa entrata subito in vigore insieme all’art. 375 CCII, che ha modificato l’art. 2086 c.c. – ha pure stabilito che, d’ora in poi, chiunque sia investito della funzione gestoria (non solo nelle società di capitali, ma anche nelle società di persone) deve farsi carico dell’istituzione degli “adeguati assetti, creando una vera e propria posizione di garanzia a riguardo; ma, a ben vedere, non si era mai dubitato che la funzione organizzativa fosse di competenza dell’organo gestorio.

A parere di chi scrive, la novità più importante introdotta dal CCII con riferimento agli “adeguati assetti” è però un’altra: quella di aver posto direttamente in capo all’imprenditore (in questa sede, per semplificare, parleremo dell’imprenditore in generale) il dovere di dotare l’impresa di “adeguati assetti.

Sicché, ferma restando la rilevanza giuridica interna all’impresa (a tutte le imprese e non solo, come prima, a quelle esercitate attraverso le società per azioni) dell’istituzione di “adeguati assetti” come metro e misura di responsabilità degli organi sociali con riferimento alla gestione dell’attività d’impresa, d’ora in poi il dovere di istituire “adeguati assetti” non potrà non avere anche un impatto esterno all’impresa, sui rapporti giuridici che l’impresa ha con i terzi e così, in particolare, sulle modalità di esecuzione delle prestazioni dedotte in obbligazione dagli imprenditori nello svolgimento dell’attività caratteristica.

Per comprendere meglio questa novità, dobbiamo tornare alla Relazione dell’Ufficio del Massimario della Corte di Cassazione, alle cui primissime pagine si legge che “la filosofia di fondo del diritto concorsuale” è stata innovata dal CCII e dai principi della Direttiva c.d. Insolvency, passandosi “da una concezione statica, di tutela esclusiva della par condicio creditorum e di massimizzazione del soddisfacimento dei creditori, ad una concezione dinamica, nella quale la conservazione dell’impresa in attività – pur se eventualmente in capo ad un soggetto terzo – costituisce un valore tutelato, che deve coordinarsi con i diritti dei creditori e che, anzi, può ove necessario comportare una loro ragionevole compressione, purché lo strumento o la procedura con la quale si realizza la ristrutturazione non risulti dannosa per i creditori rispetto ad una ipotetica alternativa liquidatoria”. 

Ora: i) anzitutto, è suggestivo ma non corretto il raffronto che contrappone le ragioni dei creditori al valore della conservazione della continuità aziendale, quasi che, da un lato, ci siano solo interessi particolari ed egoistici (quelli dei creditori) e, dall’altro lato, qualcosa che trascende gli interessi particolari per assurgere a interesse generale in posizione di supremazia (per l’appunto, il valore della continuità aziendale). Più corretto sarebbe, a mio parere, mettere sui piatti della bilancia i due valori costituzionalmente protetti del credito e dell’impresa, in modo che, se bilanciamento deve esserci, vi sia tra grandezze omogenee; ii) in secondo luogo, nei ragionamenti che si fanno in tema di regolazione della crisi d’impresa, bisogna tenere bene presente che il soggetto o l’ente cui è imputabile l’attività d’impresa non si identifica in ogni caso e comunque con il “debitore”; anzi, spesso l’imprenditore è colui che subisce la compressione dei diritti in quanto creditore e, quindi, non è infrequente che proprio la continuità della sua impresa venga pregiudicata quando le ragioni creditorie vengono totalmente o parzialmente deluse in una ristrutturazione; iii) da ultimo, se è vero che i creditori subiscono sicuramente un danno nel caso in cui l’alternativa liquidatoria sia più soddisfacente, è pure vero che gli stessi creditori riportano in ogni caso un pregiudizio qualora il loro credito venga, anche solo parzialmente, non soddisfatto, a seguito della ristrutturazione dell’impresa debitrice; né si dica, per escludere il danno, che la loro pretesa sarebbe stata falcidiata comunque dall’apertura della liquidazione giudiziale, perché a questa conclusione si può ragionevolmente giungere se alla procedura di liquidazione si arriva almeno non sprovvisti di “adeguati assetti”.

Si vuol dire che, a far tempo dall’entrata in vigore delle norme del CCII e, segnatamente, del nuovo art. 2086 c.c., il creditore che abbia come controparte debitrice un imprenditore ha il potere, strumentale rispetto a quello finale di realizzazione del suo credito, di chiedere conto se e in quale misura l’imprenditore-debitore abbia dotato la sua impresa di “adeguati assetti” (ex combinato disposto degli artt. 2086 c.c. e 3 CCII), al fine di prevenire la crisi e, così, anche l’inadempimento delle obbligazioni assunte. Ragion per cui non è azzardato, nel contesto di mondo perennemente in crisi in cui viviamo e con l’assetto normativo oggi in vigore, configurare un inadempimento anticipato a carico dell’imprenditore-debitore che si riveli, nel corso dell’esecuzione del rapporto contrattuale, sprovvisto di “adeguati assetti” e, quindi, incapace di prevenire la crisi e di “garantire” – per quanto è dovuto e gli sia possibile – l’adempimento delle obbligazioni assunte.

La Cassazione (Cass., n. 23823/2012 e Cass., n. 10546/2015) si è già espressa nel senso che l’inadempimento contrattuale può essere fatto valere in maniera anticipata quando, secondo buona fede, la parte che si assume essere inadempiente si comporta in maniera da rendere antieconomica o impossibile la prosecuzione del rapporto. Si tratta dell’istituto dell’anticipatory breach mutuato dal common law. 

I casi in cui è intervenuta la Cassazione non hanno riguardato l’attività di impresa, ma non è difficile ipotizzare, mutatis mutandis, un’impresa committente che, resasi conto della inesistenza o della inadeguatezza dell’appaltatore nell’eseguire la prestazione caratteristica, decida di risolvere il contratto senza aspettare che diventi attuale l’inadempimento e ciò invocando il combinato disposto degli artt. 1453 e 1455 c.c. in collegamento proprio con l’art. 2086 c.c.. E si badi bene che, in questa ipotesi, saremmo ben al di là dei doveri generali di buona fede che ha utilizzato la Cassazione per statuire l’anticipatory breach; qui, ci sarebbe la violazione del preciso dovere di istituire gli “adeguati assetti”, che sono sì una clausola generale, ma, per quanto generale, tipizzata (l’interprete, prima ancora dell’imprenditore che deve istituire gli “adeguati assetti”, per riempirla si deve approvvigionare d’ora in poi dalla tecnica e, in primo luogo, dalla scienza aziendalistica: cfr. V. Buonocore, Adeguatezza, precauzione, gestione, responsabilità: chiose sull’art. 2381, commi terzo e quinto, del codice civile, in Giur. comm., 2006, 1, pagg. 5 e ss.).

Proseguendo in questa prospettiva: perché non dovrebbe essere applicata, d’ora in avanti, la sospensione della prestazione di cui all’art. 1461 c.c. se una delle due parti contraenti si accorgesse di una crisi organizzativa della controparte contrattuale (cfr. V. Roppo, Il contratto, Milano, 2001, pag. 925, il quale cita come ipotesi in cui sarebbe applicabile l’art. 1461 c.c. proprio quella della crisi di carattere organizzativo di un appaltatore che sia tale da porre “in “evidente pericolo” la realizzazione dell’opera appaltata”)?

E ancora: perché, d’ora in poi, un inadempimento di per sé di scarsa importanza ai sensi e per gli effetti dell’art. 1455 c.c., non dovrebbe diventare grave se a questo si accompagna una evidente carenza organizzativa della parte resasi inadempiente? 

A livello squisitamente processuale: perché, d’ora in poi, il pericolo di dispersione della garanzia patrimoniale, che si allega quando si chiede un sequestro conservativo, non dovrebbe essere fondato sulla allegazione qualificata di un assetto non adeguato dell’impresa i cui beni si vogliono sequestrare?

Ipotizzo, infine, un amministratore che si lamenta di non essere stato messo in condizione di adempiere all’obbligo di istituire “adeguati assetti” nonostante avesse più volte segnalato ai soci l’opportunità di modifiche statutarie o la necessità di un apporto di risorse (secondo Tribunale di Cagliari, 19 gennaio 2022, la predisposizione di “adeguati assetti” ha senso all’inizio della vita di una società perché proprio in questa fase essa ha le risorse economiche per predisporre con efficacia le misure organizzative, contabili e amministrative). Perché questo amministratore, convenuto in un giudizio di responsabilità, non dovrebbe poter invocare l’art. 1227 c.c. per limitare la propria responsabilità, dal momento che l’obbligo di istituire assetti adeguati è, in primo luogo, obbligo dell’imprenditore? Sarebbe un bel modo di uscire dalla logica del “capro espiatorio”.

Sicché, in definitiva: oggigiorno, l’esigenza di un rimedio viene prima del manifestarsi del danno e il vero aiuto l’imprenditore non lo riceve quando è in crisi ma, con le dovute sollecitazioni, quando deve strutturarsi e organizzarsi per stare sul mercato in maniera affidabile. Continuare a considerare il tema della crisi d’impresa e della salvaguardia della continuità aziendale solo un tema di compromissione più o meno intensa dei diritti dei creditori, alla lunga non potrà che avere un solo effetto: minare la fiducia reciproca tra gli operatori del mercato, per cui alla fine nessuno farà più credito a nessun altro. Per contro, un approccio che – come già accade nella contrattazione, in cui a governare le trattative vi è la clausola generale di buona fede – consideri il rapporto tra imprese e, comunque, il rapporto in cui una delle due imprese intervenga svolgendo la propria prestazione caratteristica, come un rapporto governato sin dall’inizio dalla clausola generale degli “adeguati assetti, avrebbe due conseguenze positive. Permetterebbe, da un lato, di giustificare la compressione dei diritti dei creditori sempre che la situazione, a seguito di ristrutturazione dell’impresa-debitrice, non sia deteriore per gli stessi creditori rispetto a una ipotetica alternativa liquidatoria; e consentirebbe, dall’altro lato, di prevenire addirittura la crisi – anziché solo rilevarla tempestivamente – e ciò già nella fase fisiologica dei rapporti tra le imprese. Ciò andrebbe sicuramente meglio indagato, ma è senz’altro possibile congegnare un sistema che preveda, come si è provato a spiegare nelle sia pur sintetiche righe che precedono, un controllo diffuso e reciproco sulla effettiva istituzione degli “adeguati assetti”, a mo’ di autotutela.

*A cura di Alessandro Palma, Founder di Studio Legale Palma