Codice della crisi: i professionisti da coinvolgere

I casinò calcolano che un terzo delle loro entrate derivanti dal gioco del blackjack deriva da errori del giocatore.

Chi si siede al tavolo da gioco non conosce la statistica, non conosce i meccanismi del gioco e si lascia condizionare dalle emozioni, che spesso e volentieri si rivelano pessime alleate. Quando ci sono soldi in ballo, e l’obiettivo è alzarsi con più fiches di quando ci si era seduti, occorre restare lucidi con se stessi e tenere sempre presente le meccaniche del gioco.

Un imprenditore è come un giocatore di blackjack: entrambi puntano alla massimizzazione del profitto, entrambi sono disposti a rischiare il capitale di partenza, la sopravvivenza o meno di entrambi è collegata al bagaglio di esperienze che si portano dietro e alla loro capacità di sfruttare i mezzi a disposizione al meglio.

Un imprenditore non deve trascurare alcun aspetto della sua attività, nel bene e nel male

Auguriamo a tutti gli imprenditori il meglio. Proprio per questo ribadiamo che non considerare un periodo di crisi più o meno lungo come parte della vita di un’azienda significa non tenere a mente che un semplice imprevisto potrebbe inceppare un meccanismo altrimenti virtuoso.

Troppo spesso accade che un imprenditore sia impreparato ad affrontare un imprevisto. Lui e i suoi collaboratori non possono o non vogliono occuparsi del problema, finché la crisi diventa inevitabile e si manifesta. A quel punto, quando finalmente ci si muove, si è perso tempo prezioso.

Talvolta diventa troppo tardi e le perdite diventano insopportabili, come per un giocatore di blackjack che non ha un piano di azione quando si siede al tavolo.

Un recente intervento pubblico

Lo Stato ha emanato il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza per spingere gli imprenditori a dotarsi di un piano per le emergenze. Il Legislatore ha inserito diversi indicatori in grado di prevedere una crisi nel Codice civile, alcuni a carico dell’imprenditore, altri a carico dell’ente pubblico. L’imprenditore stesso dovrà dotarsi di meccanismi atti a sfuggire al periodo di crisi.

Ci si augura in questo modo di sfatare molti tabù che finora hanno segnato la vita dell’imprenditore italiano, primo tra tutti quello di non prendere nemmeno in considerazione l’idea che un periodo di crisi possa colpire anche la propria azienda. Se ci si occupa del problema solo al suo manifestarsi, le risorse sono poche e il tempo a disposizione è esiguo. Avere un piano significa:

  • disporre di collaboratori, come avvocato e commercialista, in grado di segnalare tempestivamente situazioni negative. Se questi professionisti intervengono solo quando la situazione è irreparabile, sono solo una ulteriore voce di costo. Il loro contributo, se dato per tempo, evita problemi molto peggiori e, di conseguenza, è un investimento.
  • occuparsi dell’azienda quando essa è ancora in salute, facendo riferimento al diritto commerciale, non a quello fallimentare. Per lo stesso motivo, il Codice della crisi modifica il Codice civile, oltre alle Leggi fallimentari.

Comunicare la crisi

E infine, anche la comunicazione potrà finalmente fare la sua parte. Comunicare in periodo di crisi è difficile, non solo perché non si può tenere lo stesso registro che si adopera quando si è in un periodo positivo, ma anche perché, soprattutto nelle PMI, non esiste un piano anticrisi, non ci si può e non ci si vuole pensare. Non è solo questione di stampa o social network, è comunicazione anche quella verso tutti gli stakeholders, dallo Stato alla banca, dal fornitore all’avvocato. Sapere cosa dire e a chi dirlo evita errori come fuga di informazioni e danni di immagine che possono compromettere ulteriormente la situazione.