La inammissibilità dell’esercizio del recesso e del diritto di ritenere la caparra, a seguito dell’avvenuta risoluzione di diritto del contratto

Di Alessandro Palma

La Suprema Corte, nell’affermare il condivisibile principio secondo cui non può più essere esercitato il diritto di recesso ex art. 1385, comma 2, c.c. in caso di avvenuta risoluzione di diritto del contratto, ha perso un’occasione per statuire che, nello stesso caso, non è precluso al contraente non inadempiente lo ius ritentionis avente ad oggetto la caparra confirmatoria. E infatti, attenendo il diritto di ritenere (o di esigere il doppio del)la caparra al diritto di conseguire il risarcimento del danno, non è necessario passare attraverso l’esercizio del diritto di recesso – che attiene al diverso diritto di ottenere la risoluzione del contratto – per giungere al risultato di ritenere (o di esigere il doppio del)la caparra.

IL CASO DI SPECIE

Un soggetto stipulava un contratto preliminare di compravendita immobiliare, versando una somma di denaro al promittente venditore a titolo di caparra confirmatoria.

Ritenendo che la controparte si fosse resa inadempiente alle obbligazioni contrattualmente assunte, il promissario acquirente gli intimava, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 1454 c.c., di adempiere entro un congruo termine; decorso il quale lo stesso promissario acquirente agiva in giudizio, perché fosse accertata e dichiarata la intervenuta risoluzione per inadempimento del contratto stipulato per fatto e colpa esclusivi del promittente venditore ed emessa la statuizione di condanna di quest’ultimo al pagamento del doppio della caparra a suo tempo ricevuta.

I giudici di merito, accertata l’avvenuta risoluzione di diritto del contratto, ritenevano applicabile al caso di specie il disposto di cui al secondo comma dell’art. 1385 c.c. e, conseguentemente, condannavano il contraente inadempiente al pagamento del doppio della caparra ricevuta, con la motivazione che l’istanza in tal senso formulata dall’attore costituiva il legittimo esercizio di un perdurante diritto di recesso rispetto alla domanda originaria di risoluzione del contratto.

La sentenza che si annota, invece, è di diverso avviso e afferma il principio secondo cui il contraente non inadempiente, qualora richiami – con la proposizione della domanda di risoluzione – gli effetti della diffida ad adempiere e, quindi, l’avvenuta risoluzione di diritto del contratto, non può poi esercitare il diritto di recesso e il correlato diritto di cui all’art. 1385, comma 2, c.c., di ritenere (o di esigere il doppio del)la caparra confirmatoria.

Alla base di questa affermazione di principio vi è, da un lato, la constatazione che non è giuridicamente possibile risolvere un contratto che è già stato risolto e, dall’altro, la presa di distanza da quel filone giurisprudenziale (della Cassazione) che ritiene applicabile il comma 2 dell’art. 1385 c.c. e, quindi, esperibile il recesso dal contratto, con l’esercizio dei relativi diritti in ordine alla caparra confirmatoria, anche quando si sia agito per la risoluzione del contratto ed il risarcimento dei danni.

Niente di nuovo sotto il sole, saremmo tentati di esclamare, constatando che già in altre occasioni la Suprema Corte si è espressa nel senso che è inammissibile l’esercizio del diritto di recesso e del conseguente diritto di ritenere la caparra ricevuta qualora il contratto sia già stato risolto (con il meccanismo della diffida ad adempiere).

Tratto dal Corriere Giuridico, n. 8 del 2006