Rapporti tra caparra confirmatoria e integrale risarcimento del danno

La pronuncia che si annota presenta un duplice motivo di interesse: con riferimento, da un lato, alle problematiche connesse all’istituto della caparra confirmatoria e, dall’altro, a quelle squisitamente processuali inerenti ai requisiti di ammissibilità del ricorso per cassazione per vizi di motivazione.

Le osservazioni che seguono sono dedicate esclusivamente alla prima parte della motivazione che, al di là della sua superfluità ai fini del risultato cui perviene, sintetizza, forse in maniera eccessiva, la posizione della giurisprudenza di legittimità relativamente ai delicati problemi applicativi che pone l’istituto della caparra, soprattutto con riguardo al rapporto intercorrente tra il disposto del secondo comma e quello del terzo comma dell’art. 1385 c.c..

Il caso su cui si è pronunciata la Cassazione si collega alla pretesa avanzata da due coniugi che, all’atto della stipulazione di un contratto preliminare di compravendita immobiliare, avevano versato una somma di denaro a tutolo di caparra confirmatoria al promittente venditore. Poiché quest’ultimo non aveva adempiuto l’obbligazione di trasferire la proprietà dell’immobile, gli attori lo convenivano in giudizio chiedendo il rigetto della domanda avversaria e, in via riconvenzionale, la pronuncia di risoluzione del contratto per inadempimento degli attori.

Il primo grado di giudizio si concludeva con la pronuncia di risoluzione del contratto per inadempimento del convenuto, il quale veniva però condannato alla sola restituzione della caparra ricevuta, maggiorata degli interessi legali. All’esito del giudizio di secondo grado, la competente Corte territoriale, ritenendo che non potesse configurarsi l’inadempimento di alcuna delle parti, prendeva atto che queste ultime non intendevano dare esecuzione al contratto intervenuto tra le stesse e confermava la statuizione del primo giudice in ordine alla restituzione agli attori di quanto corrisposto a titolo di caparra.

Avverso tale decisione proponeva ricorso per cassazione il promittente venditore, lamentando, tra l’altro, l’errata applicazione del disposto di cui al terzo comma dell’art. 1385 c.c.. Assumeva, in particolare, il ricorrente di avere richiesto la risoluzione del contratto in primo grado per inadempimento dei promissari acquirenti, ma di avere poi ridotto in appello la propria domanda chiedendo la declaratoria di recesso risolutorio, con conseguente diritto dello stesso ricorrente a ritenere la caparra a suo tempo ricevuta.

L’articolo che segue è il resoconto dettagliato della vicenda.

Tratto dal Corriere Giuridico, n. 8 del 2002