Il coraggio di tornare indietro

Di Alessandro Palma

Capita spesso nella nostra vita di essere umani di avere ripensamenti, a seguito di ulteriore e più attenta considerazione o riflessione su una situazione; capita meno spesso che a tali ripensamenti seguano un cambiamento di opinione o di decisione e, men che meno, di vita.

Questa sequenza “ripensamento – inazione conseguente al ripensamento” ci si impone per un malinteso senso della coerenza che inficia, condiziona pesantemente il nostro modo di sentire, di pensare e di agire. Quasi che, presa una strada, sia disdicevole, anche quando la strada imboccata ci pare evidentemente sbagliata, tornare indietro sui nostri passi, cambiare strada o riprendere un percorso già battuto. Ed eccoci pronti a bollare, a priori, come voltagabbana, il politico che cambia partito o movimento di appartenenza; a giudicare come traditore e impenitente il calciatore che decide di tornare nella squadra di calcio che lo ha lanciato, dopo un’esperienza in un altro club; a crocifiggere la sposa o lo sposo che solo dopo le nozze realizza – facendo seguire a questa consapevolezza la coerente azione del divorzio – che il neo coniuge non è la persona che si vuole al fianco per tutta la vita, e via dicendo.

E, ciò che è peggio, eccoci lì, fermi al palo con le nostre infelicità, con le nostre consapevolezze non realizzate e con i nostri “se avessi avuto il coraggio di …“.

Già, perché per cambiare e, ancor di più, per tornare indietro ci vuole coraggio: il coraggio di essere giudicati negativamente, il coraggio di ammettere di avere sbagliato valutazione, di avere sbagliato decisione, il coraggio di scegliere, o meglio, di riscegliere, il coraggio di seguire un percorso di vita non conformista, ma certamente focalizzato sulla realizzazione del proprio desiderio. Desiderio, nel senso – lacaniano – di espressione di intima vocazione dell’essere umano e, quindi, di più pregante responsabilità (nel momento in cui si prova a realizzare questa vocazione) verso se stessi e verso gli altri.